Galleria

2023/2022

Perseverancia, olio su tela 130×180 cm, 2023

Appunti per un matrimonio romano, olio su tela 17×17 cm, 2022 * coll.privata

Venice Simplon Orient Express, olio su tela 50×100 cm, 2022 * coll.privata

Gran Palazzo delle Apparenze, olio su tela 155×255, 2022 * coll.privata

Cannaregio, olio su tela 100×150 cm, 2022 * coll.privata

Condominio Pantheon, olio su tela 130×130 cm, 2022

2021/2020

Speaking about, olio su tela 80×150 cm, 2020 * coll.privata

Beauty femme, olio su tela 80×150 cm, 2020 * coll.privata

Sentados, olio su tela 80×140 cm, 2020 *coll.privata

Asintomaticos bogotanos, olio su tela 17×17 cm, 2020

En Colombia, olio su tela 50×70 cm, 2020

Asintomaticos, olio su tela 40×60 cm, 2020

2019/2018

La bacheca, olio su tela su tavola 104×161 cm, 2019 *coll.privata

Dove piove col sole, olio su tela 123×237 cm, 2019 * coll.privata

Soul, olio su tela 80×150 cm, 2019 * coll.privata – opera realizzata per la scenografia del programma televisivo “Soul” in onda su TV 2000

Alzati, olio su tela 80×150 cm, 2019 * coll. privata

Iris, olio su tela 120×120 cm, 2019 coll.privata

Creta, olio su tela 70×70 cm, 2019 * coll.privata

2018/2016

Upstairs, olio su tela 80×150 cm, 2018 * coll.privata New York

Seduti, olio su tela 80×150 cm, 2018 * coll.privata New York

La Grande Iride, olio su tela 200×200 cm, 2018 * coll.privata Londra

La veranda, olio su tela 237×126 cm, 2017 * coll.privata

Rimini, olio su tela 60×120 cm, 2017 * coll.privata

Oblio, olio su tela 100×150 cm, 2016 coll.privata

Attesa orizzontale, olio su tela 45×115 cm, 2016 *coll.privata

2015/2014

Luminosa natura morta con ragazza al computer, olio su tela 80×150 cm, 2014 * coll.privata

Decorazione villa privata, pittura murale, 2014 – Sant’Arsenio (SA)

Esodati, olio su tela 108×158 cm, 2014 premio rock’n’art ROMART Biennale Internazionale di arte e cultura – Roma 2015

Dialoghi, olio su tavola su legno 100×150 cm, 2015 * coll.privata Milano

– Polonio: “ Che cosa state leggendo, mio signore? “

– Amleto: “ Parole, parole, parole.

William Shakespeare

E noi, cosa stiamo osservando? Parole. Quelle racchiuse, metaforicamente, nell’opera di Gianluca Cavallo, Dialoghi. Un’opera molto particolare, originale nella sua trattazione semiotica e fenomenologica, frutto di un percorso piuttosto eterogeneo che trova, nella biografia artistica del pittore campano, diversi appigli e molti slanci. La passione per il disegno lo ha visto concludere la sua formazione e diventare decoratore, dopo anni di studio, iniziando un percorso che, in qualità di pittore decoratore lo ha impegnato in diversi cicli, sacri e profani. Il suo eclettismo, però, lo ha portato a cercare un’arte condivisa con altri suoi colleghi e lo vede oggi, inoltre, a capo dello Studio22, un laboratorio, galleria, bottega d’arte o studio, in cui l’un termine non è sinonimo dell’altro, quanto parte integrante di un puzzle attraverso il quale si incasellano i tasselli di un modo di lavorare che trae origine dalla tradizione medievale e rinascimentale. E proprio dinanzi ad un tassellario ci ritroviamo osservando l’opera Dialoghi, una sorte di epitome di possibilità, reali o surreali,in cui il protagonista assoluto è il dialogare, che sia attraverso le parole, gli sguardi o i gesti.

“Qual è la condizione essenziale del dialogo? E’ la capacità di porsi dal punto di vista dell’altro”

Asserisce D’Arcais e, i punti di vista, tendono all’infinito. Cavallo ce ne propone quindici, in sequenza, nero su bianco, come s’addice alle parole che non volano via. Quindici situazioni, in cui, differenti personaggi, caratterizzati per cifra stilistica e non per tratti fisiognomici, inscenano un rapporto dialogico. Non ci è dato sapere cosa si dicono, non conosciamo i prologhi e, al più, possiamo tentare di immaginare gli epiloghi. Tuttavia, la nostra curiosità è sollecitata da queste silhouettes che prendono vita, dando forma e sostanza ad un concetto e ad un racconto. Ad ogni linea, ad ogni tratto, potrebbe corrispondere una reazione, in un collage di significati e significanti degni della più profonda analisi semiotico-psicologica.

Ma non è un gioco, per l’artista. E’ un modo di procedere nella sua ricerca, un viaggio alla scoperta di un mondo che brulica e che, se in un primo momento lo faceva con clamore, mediante grandi tele su cui la figurazione si stagliava a grandi caratteri, adesso prosegue verso un rimpicciolimento che, paradossalmente, amplia la visione e mantiene la chiarezza del bianco e nero, mantenendo al contempo, la forza della metafora emotiva. Allegorie figurative in cui le emozioni si ritagliano spazio, emozioni che oltre la superficie emergono e che quasi chirurgicamente l’artista lascia affiorare, mediante l’uso di bisturi con cui intaglia il disegno sul legno, sua grande passione materica.

Tavole prospettiche, tavole psicologiche e figurative che tracciano una dimensione sulla quale l’osservatore è chiamato a sostare, a riflettere e, perché no a riconoscersi.

Voi in quale di questi Dialoghi vorreste esser protagonisti?

Azzurra Immediato

2013

55^ Biennale d’Arte di Venezia

Il teatro del bailo, olio su tela 200×450 cm, 2013 – 55^ Biennale di Venezia- Officina delle Zattere- coll.privata Roma

Se fosse la danza che – pur impropriamente – evoca il titolo, in assonanza con l’ispanico idioma che l’italiano traduce in “ballo”, sarebbe di certo quella macabra dei tanti Maestri medioevali di Trionfi della Morte, di cui sembra in effetti sopravvivere qui la stessa umanità in bilico tra l’effimera ricerca del piacere terreno e la gravità del proprio ineludibile destino. Ma non è questo il senso dell’opera di Gianluca Cavallo, a metà strada tra il murales ed un polittico di antica  e sapiente tradizione artigiana. C’è piuttosto un rimando quasi immediato alle atmosfere  solari e chiassose di Guttuso, seppure stemperato nei toni cromatici che qui si raffreddano nell’azzurro grigiastro del fondo, a riallacciare un dialogo mai del tutto interrotto con il Rinascimento e con quel suo eterno Umanesimo, che parte da Antonello da Messina e arriva fino a Canaletto ed oltre. Perché è di questo che parliamo, in definitiva, davanti a questa grande composizione presentata alla Biennale di Venezia 2013. Più ci accostiamo al Teatro del Bailo, ne ascoltiamo le voci e ne scrutiamo le ombre, più ci rendiamo conto di come l’opera di Cavallo intenda proporsi come continuazione ideale della grande tradizione lagunare di pittura rinascimentale: da Gentile Bellini a Carpaccio, da Tintoretto ai vedutisti del Settecento. Strepitosi affreschi di una società mutevole e dinamica, stretta attorno alle proprie radici e tradizioni eppure aperta all’esotico ed al lontano come nessuna altra realtà occidentale. Volti e fogge diverse, particolari ‘nascosti’ che si svelano all’occhio solo dopo ripetuti sguardi, quasi a costringerci ad andare oltre le nostre barriere interiori e a smantellare le certezze di un quotidiano forse rassicurante ma certamente troppo angusto e miope. I grandi teleri del Quattrocento lagunare, con le loro fantastiche sfilate di ambasciatori orientali a San Marco, rivivono con Cavallo in questo teatro personalissimo del Bailo – figura storica dell’ambasciatore della Serenissima presso i Turchi – rimescolando cifre e simboli di una cultura cosmopolita e meticcia in cui convivono cupole cristiane e caravanserragli, cardinali e muftì, donne velate con altre in bikini, senza prevaricazioni né timori di guerre sante o santissime. Quasi a voler ricomporre i pezzi di una storia andata in frantumi per la leggerezza colpevole di mani maldestre cui era stata affidata, Cavallo restituisce il quadro generale secondo una sequenza dei sei pannelli che l’osservatore può idealmente cambiare, invertendo l’ordine di ciascuno di essi a proprio piacimento.

Nel Teatro del Bailo ritroviamo i volti di una umanità sopravvissuta a se stessa, ai disastri di mille guerre ed agli orrori da esse prodotti, così che abbondano le maschere a metà strada tra il primitivismo di Picasso e la pantomima del Carnevale in Laguna; e c’è perfino la lampadina che pendeva inerte dal soffitto nella casa di Guernica, ma capovolta qui e come ristabilita nella sua funzione di illuminare (le menti ancor prima che le stanze). Mentre un bucranio di classica memoria fa capolino sulla destra, misura del tempo terreno e  memento della sua fugacità. A testa in giù sta l’angelo nel pannello in alto a sinistra, pronto a discendere in caso di bisogno, come ci insegna la pittura del Seicento controriformista di Caravaggio e degli altri. Ma non ce ne sarà bisogno, forse l’umanità potrà davvero riuscire a sbrigarsela da sola qui sulla terra, nel gran Teatro del Bailo che è la storia: di tutti, senza aggettivi personali. É possibile che sia l’arte a ritrovare il filo del discorso interrotto? Magari a partire da quei fonemi che hanno fatto grande la pittura del Rinascimento italico e segnatamente lagunare? È una provocazione, questa di  Gianluca Cavallo, ma è anche un omaggio a Venezia, alla sua grande pittura storica ed al cosmopolitismo culturale  che ha caratterizzato la città nei secoli. Il Teatro del Bailo è un moderno telero di antica tradizione, come la tecnica sapiente con cui è realizzato e le dimensioni che ne connotano il genere. Ma è anche un’opera di inedita avanguardia pittorica, rivoluzionaria al punto da scardinare ogni presunta decadenza dell’arte figurativa in favore di mezzi e linguaggi alternativi, rivendicandone invece con forza il primato su tutte le forme di comunicazione ed espressione. É, in fondo, un’affascinante affabulazione visiva sul futuro dell’Arte, di cui Cavallo recupera con forza le matrici storiche ed iconografiche per ricomporne – se non proprio la fisionomia o l’identikit – la logica sottesa al linguaggio, la sua sintassi che è al tempo stesso semantica.

Fulvia Strano (critica d’arte)

15 Maggio 2013, olio su tavola di noce 100×120 cm, collezione d’artista

2012/2011

Armadio, olio e gesso su tavole di noce del Novecento 244×330 cm, 2012

Giocando sul tema del doppio e dell’altro da sé, Cavallo si cimenta qui in una fantomatica partita a scacchi di cui lo spettatore è al tempo stesso pedina e pubblico. La struttura dell’opera è quella di un armadio – un vero e proprio armadio che l’artista ha recuperato e trasformato in superficie pittorica – ma  lo spazio della rappresentazione si dilata oltre le pareti mobili delle ante fin dentro il contenitore evocato, nell’illusione ottica di uno specchio che riflette l’immagine gigante della regale pedina. Il Re è in scacco o è solo matto? E chi mai potrà dare un volto al Re se non colui che osserva frontalmente la scena, restando perciò prigioniero della propria immagine riflessa? L’armadio è forse la più sofisticata testimonianza dell’ ironia intelligente di Cavallo, quel suo saper cogliere di ogni oggetto il senso e la metafora che traghetta la mente verso altre visioni e frammenti di memoria.

Come un erudito del Seicento assembla simboli e figure, compone emblemi e sciarade, poi suggerisce diverse soluzioni lasciando al pubblico il gusto del cimentarsi ed il rischio di fallire. Giocando sul lapsus e sull’inciampo psicologico, l’opera di Cavallo si insinua nelle smagliature del quotidiano perché ognuno di noi ne tragga uno stimolo diverso ma ugualmente lecito e possibile, personalissimo e veritiero. Non c’è trucco, né inganno, se non quello che la nostra stessa mente frappone tra sé e l’altro, come nel dramma archetipico del doppio di cui lo specchio è appunto imprescindibile attributo. L’Armadio è un gioco di ruolo, uno scenario possibile di inaspettati eventi da agire in prima persona. Si contano le pedine e gli spazi vuoti sulla scacchiera e poi si tirano i dadi, per stabilire chi dovrà fare la prima mossa. Non c’è nulla di statico in quest’opera; niente che palesi la sua bidimensionalità, a dispetto del rigore cartesiano con cui si dispongono i quadrati in dicromia. È piuttosto una sapiente olografia che inganna ma non mente, nasconde per svelare a chi si ponga con l’animo a guardare. Et Voilà! A voi la prima mossa.

Battiti, olio su tela 100×350 cm, 2012 * coll. privata

Naufragi, olio su tela 120×200 cm, 2011* coll.privata

Nessuna allegria nei Naufragi che Cavallo dipinge nel 2011. Non sono le suggestioni letterarie a dare spessore a questa trama di corpi intrecciati come i fili annodati di un fitto tappeto di lana. Non c’è la disperazione e la tensione psicologica dei personaggi di Géricault sulla Zattera della Medusa né la sbigottita incredulità dei sopravvissuti del Titanic. I Naufragi di Cavallo sono piuttosto la trasposizione moderna di un bassorilievo antico, una fronte di sarcofago in cui i personaggi si dispongano a raccontare un Mito e la sua morale sottesa. Sono gli eroi dispersi nel mare di un destino imprevedibile e beffardo, talmente inatteso da sfiorare il ridicolo, come spesso accade nelle pieghe nascoste dell’humor nero. Uomini e donne che riaffiorano in superficie come corpi senza vita o anche solo stremati e sul punto di morire, ma che non perdono per questo il loro aplomb né rinunciano alle cose, agli oggetti più o meno preziosi che hanno posseduto e che sembrano davvero l’unico appiglio cui restare attaccati per sopravvivere. E la vita ci appare come una comica rissa tra disgraziati che non sanno neppure di esserlo, anzi continuano ad affannarsi nella ostentazione di uno status non più dimostrabile, di cui perciò mettiamo in dubbio non solo la presunta esistenza pregressa ma addirittura la reale importanza. Una satira sociale dunque, amara e dissacrante, che manda letteralmente a gambe per aria i vizi nascosti e le virtù esibite di un’umanità in doppio petto arroccata nei propri particolarismi e nella miopia di un’esistenza vissuta ad inseguire il possesso di certezze materiali, alle quali appunto ci si attacca con la disperata ferocia di un naufrago in mare aperto.

L’albero, olio su tela 200×150 cm, 2011 – opera finalista al “Premio Celeste” presso il Museo Archeologico di Bologna 2012 – * coll.privata

Come peraltro fanno anche gli omini che scalano L’albero, per afferrare la cuccagna in cima. Minuscole creature abbarbicate sulla corteccia umana dei propri simili, prive di scrupoli e di tentennamenti nell’inseguire una felicità promessa ed agognata, salvezza tutta terrena che non offre alternative alla fatica.

L’occhio, olio su tela 103×103 cm, 2011 * coll.privata

Il segno microscopico viene ingigantito dalla lente mostrandoci L’Occhio che ci osserva, al di là del vetro, in un ribaltamento tra osservatore ed opera degno della migliore tradizione pittorica: dallo specchio di Van Eyck nei Coniugi Arnolfini a Las Meninas di Velasquez ed oltre. Ma non è tanto l’aspetto concettuale ad interessare Cavallo, quanto piuttosto le infinte potenzialità espressive del segno grafico che spazia dal piccolissimo al gigante, invertendo di volta in volta la percezione ed il racconto che se ne trae. Per questo usa il bianco e nero, totalizzanti e assoluti nella gamma cromatica che racchiudono entrambi: dal tutto al nulla e viceversa.

I’m just killing time, olio su tela 150×200 cm, 2012 * coll.privata

E non diversamente avviene in I’am just killing time, dove lo sfondo giallo evoca e rimanda all’oro delle tavole medioevali, azzerando così non soltanto lo spazio ma anche quel tempo il cui ‘delitto’ è annunciato nel titolo. Il sub è in posa mentre sta per scattarci una foto, ma siamo noi ad inquadrare la scena mettendo a fuoco lo sguardo sull’arto del cavallo, prima del blow-up. Non si tratta di un semplice ribaltamento, quindi, e non è di voyeurismo che parliamo. L’artista ci inchioda in una inquadratura di cui siamo al tempo stesso oggetto e soggetto, artefice e ritratto, senza possibilità di uscire né di entrare rispetto alla scena. E in questa posa prolungata, trattenendo il respiro, non ci resta che ascoltare il nostro silenzio interiore; nel timore che un minimo sussulto dell’anima possa distrarre il cavallo e farlo muovere.

Video-intervista in occasione della mostra “L’Universo è figura” presso la Creative room Art Gallery di Roma, 17 Febbraio 2012 – realizzato da E.Ragone e P. Di Maria

A ben guardare la biografia artistica di Gianluca Cavallo, a seguirne gli sviluppi di un linguaggio pittorico in continua evoluzione – e talvolta perfino in aperta contraddizione, capace com’è di giocare al tempo stesso sul piano della grande dimensione e su quello della miniatura – nell’alternanza senza cesure cronologiche di colore e bianco/nero, padroneggiata con la baldanza e l’irriverenza che è propria dei grandi talenti; a soffermarsi insomma sul suo repertorio figurativo, fatto di oggetti quotidiani in dialogo continuo con forme archetipiche e rimandi simbolici, viene in mente la celebre incisione di Albrecht Dűrer Il cavaliere, la morte e il diavolo.

Anche qui abbiamo un cavaliere – propriamente un subacqueo a cavallo – impettito e compito nella sua muta nera; una soglia di dolorosa consapevolezza della morte e dell’aldilà, rappresentata da un corpus di opere che potremmo definire “di confine”; la rappresentazione figurata della tentazione demoniaca, sotto forma di disagio sociale e massificazione, incomunicabilità esistenziale ed indifferenza tra singoli soggetti.

Ma l’analogia non è solo nominale. Davvero sembra di poter azzardare anche per Cavallo quella lettura in chiave fenomenologica che del celebre cavaliere di Dűrer dette Edmund Husserl (Ideen, 1913) spostando prepotentemente sul piano dell’indagine gnoseologica l’interpretazione iconologica dell’immagine e dei suoi rimandi simbolici.

Perché il camino percorso da questo giovane artista nell’arco di un decennio – e specialmente tra il 2007 ed il 2011 –  assomiglia ad un viaggio intrapreso,  con ardore e vigore cavallereschi appunto,  alla ricerca della verità di se stesso, cogliendo nella realtà delle cose di tutti i giorni, del loro sapore dimesso e quotidiano, lo stimolo per avviare un’indagine ben più profonda, esistenziale, incessante e sempre più incisiva nel tempo.

Al centro c’è sempre l’uomo, paradigma del fare e principio dell’essere, motore dell’universo di sentimenti e stati d’animo che compongono il catalogo dell’artista come in uno speculum medioevale: scrupolosamente inventariati per essere finalmente restituiti alla comprensione.

2010/2008

La tredicesima luna, olio su tavola e specchio 55x75x45 cm, 2009 * coll.privata

Come quando fuori piove, olio e smalto su tela 100×120 cm, 2008 * coll.privata Milano

2007

Il porto, olio su tela 125×237 cm, 2007 *coll.privata

I viandanti, olio su tela 100×150 cm, 2007* coll.privata

La casa, olio su tela 150×200 cm, 2007 * coll.privata

Piano di volo, olio su tela 150×150 cm, 2007

Epifania, olio su tela 55×175 cm, 2007 * coll.privata

La rissa, olio su tela 90×200 cm, 2007 * coll.privata

I palindromi, olio su tela 103×153 cm, 2007

Seconda serata, olio e collage su tela 237×126 cm, 2007 * coll.privata

La stazione, olio su tela 80×120 cm, 2006 * coll.privata

La sala d’attesa, olio su tela 150×300 cm, 2006

2006/2005

Nozze di Cana, olio su tela 220×363 cm, 2006

Chiesa della Madonna del Rosario di Pompei – Silla di Sassano (SA) progettazione architettonica e decorazione dell’ interno con la realizzazione di 33 tele di notevoli dimensioni.

Un grande racconto popolare, una favola antica e sempre nuova da sciorinare con pacatezza e serenità, inanellando uno dopo l’altro i gesti familiari di una lunga tradizione iconografica, semplice e per questo condivisa. La decorazione della chiesa di Sassano è un’opera pop, un manifesto che non fa proclami ma conferma nella certezza di un sentire comune che è al tempo stesso Storia e attualità, salvezza e miseria quotidiana, identità e trascendenza. Come i cantastorie di un tempo, Cavallo ci accompagna per mano alla scoperta di una Verità nascosta nelle pieghe del quotidiano, nelle sue lunghe ombre al tramonto, nelle calde atmosfere di un’Ultima Cena dove nessuno sembra presagire l’epilogo tragico che noi conosciamo. E diventiamo così tutti protagonisti, attori e spettatori, partecipi di un sentimento sincero di amore e di gratitudine, che rimbalza tra gli sguardi e le morbide superfici dipinte a larghe pennellate, come un’onda di calore, un abbraccio ideale che restituisce conforto alla disperazione.

Se è De André ad ispirare l’artista (per sua stessa ammissione) è però proprio il senso profondo del messaggio evangelico a suggerire la cadenza melodica e le sfumature tonali di questa ballata antica. Le scelte iconografiche, la disposizione pacata dei personaggi e quel loro dialogare in silenzio, rimbalzandosi il tempo di entrata senza mai rubarsi la scena l’un l’altro sono frutti di una lettura attenta del racconto cristologico, del suo più ampio significato antropologico.

E la comunità dei fedeli, all’interno della chiesa, entra in scena anche lei: lentamente, seguendo i grani della corona che scivola tra le dita al passo di una Ave Maria e di un Pater. Misurando la propria fede sulla capacità di perdono e sulla gioia che ne scaturisce, rendendoci tutti liberi.